Supponiamo che la vostra vita si svolga in un Paese Normale, diciamo civile, supponiamo poi di avere un figlio, uno sveglio, uno che le cose non se le fa mandare a dire e coltiva un ideale. Supponiamo di essere negli anni ’70, sullo scorcio cioè. Anni ’80 ma di cui non ci sono manco le tracce di rampantismo. La gioventù è impegnata e i ragazzi gridano forte i loro diritti. I pugni alzati come tanti piccoli soli in un cielo grigio. Supponiamo che sullo sfondo a fare da spettatori ci siano personaggi come Pasolini che guardavano questo Paese con aria distaccata eppure pregna di consapevolezza. Sono passati 30 anni e più dalla guerra e l’MSI ricostituisce di fatto il Partito Fascista. Ma nessuno fiata, pure se ci sono le bombe, una, due, e un anarchico è stato fatto volare giù. Supponiamo che l’aria si surriscalda e i suoi passi, di quel ragazzo, non si fanno più tanto sicuri. E’ l’Italia della DC e degli armadi della vergogna. E’ l’Italia che vuole dimenticare ma vive con l’acqua alla gola la profonda schizofrenia politica. Infondo la lotta di piazza non è nemmeno ai primi vagiti. Quando si va a scuola si discute e si lotta, anche solo a parole, ma nemmeno tanto. Si scende in piazza e il confronto coi fascisti non è all’acqua di rose. Walter muore, proprio vicino alla sede del FUAN alla Balduina. Ci sono i fratelli De Angelis, c’è la manovalanza della destra romana che va a Milano e uccide con modalità da spedizione Fausto e Iaio. Supponiamo che siano appoggiati e protetti. Frank Turatello, La mala del Brenta, gli interessi sulla droga, strategia pronta a sterminare anche tanti compagni, stavolta però senza bombe, né dell’incauto intervento delle forze dell’Ordine. Supponiamo che una madre e un padre, come milioni di padri e madri, vivano e abbiano occhi per l’unico figlio. Che addirittura quando possono lo seguano alle manifestazioni, salendo sul treno come di nascosto. Supponiamo ma nemmeno per esibizione di retorica che questo ragazzo abbia redatto assieme ai suoi amici un archivio, alla faccia dei suoi soli 19 anni, con nomi, indirizzi e fotografie. Supponiamo cioè che questo archivio sia stato sequestrato dalla polizia, e sia stato utile a un giudice, Mario Amato, che arriverà a predire eventi gravi e luttuosi a costo della sua stessa vita, ferita aperta che questo Paese lo scorso 2 Agosto non ha voluto nemmeno commemorare istituzionalmente: La Strage di Bologna, Fioravanti e Mambro che certamente sanno eppure incontrano Carla, negano non creduti. Allora non supponiamo più. Perché il 22 Febbraio di trentuno anni fa quel ragazzo viene ammazzato a casa sua con un colpo alle spalle e i suoi genitori legati e imbavagliati nell’altra stanza. Ammazzato da un commando fascista che aveva a cuore il dossier, da sottrarre perché evidentemente pericoloso per contenuti chiari e accuse dirette a chi e cosa. Supponiamo che dopo trentuno anni quella madre ogni giorno passi davanti al divano dove il ragazzo, Valerio Verbano, è caduto. E lo guardi sempre con una stretta al cuore, ma non abbia nemmeno la forza di mettersi a piangere, perché sa che non servirebbe. E piangere non ha pianto mai. Supponiamo che i colpevoli alla fine si sappiano, tirando un po’ le fila senza forzare. Supponiamo che lo Stato non li voglia, a distanza di trentuno anni consegnare alla giustizia, e che preferisca un lento oblio della vittima fino, un giorno, a deformarne volto e storia. Allora anche qui, non supponiamo più. Perché quel ragazzo che ora vede un gattino di pezza al suo posto non è stato mai rimosso dalla memoria dei compagni. Pretendono di sapere. Non ci stanno ad assistere a questo lento stillicidio di ricordi. Nessuno ha mai detto, Carla per prima “supponiamo che mi sia stancata di lottare e che voglia ritirarmi a vita privata, a carezzare quel dolore come se fosse fatto di peluche”. No, nemmeno dopo trentuno anni. Perché ancora una volta Roma e Tutti i Compagni saranno insieme a ricordare quel Compagno caduto fra le braccia di uno Stato iniquo che promette e non mantiene mai quando si tratta di giustizia e che, quando può prende un nome e una storia e la calpesta facendola balzare agli onori della cronaca come un fenomeno mediatico. Ma Valerio, no, e ancora una volta saremo insieme a gridare una frase che non è un auspicio, non è uno slogan, non è un rituale consumato. Ma è espressione di ciò che veramente a trentuno anni di distanza ancora accade: VALERIO VERBANO VIVE!
“Non voglio vendetta ma solo giustizia, quella che è stata negata fino ad ora dal silenzio assordante che ha coperto l’assassinio di mio figlio”, Carla Verbano.