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Ci hanno provato con i caduti prima, ci provano con i reduci oggi.
Da anni i sindaci di Milano si negano al 2 novembre nel rendere omaggio al campo della gloria dove dimorano i partigiani caduti, o ossequiano anche i fascisti caduti in una sorta di tentativo di equiparazione di valori e di intenti.
In merito la Diocesi Ambrosiana ha espresso chiaramente la sua posizione “proclamando la gloria di chi ha rischiato e perduto la vita combattendo per valori di giustizia e libertà, di uguaglianza e democrazia. Un’esigenza indispensabile per non perdere di vista l’unità nazionale e la coscienza democratica, indispensabile per rinsaldare il proprio cammino nella ricerca della pace e del bene comune in quella casa di tutti che è e deve essere la polis. Allora non possiamo e non dobbiamo confondere la pietas cristiana con la pietas civile. La prima apre i cuori a non fare distinzione tra defunti. Non altrettanto farà la pietas civile. Per la società civile è doveroso non mettere tutti i morti sullo stesso piano. Non tutti infatti, nella loro vita e con la loro morte, hanno voluto che la polis terrena fosse la casa di tutti. La casa è di tutti se nessuno se ne appropria, come invece aveva fatto il fascismo e ancora potrebbe fare sotto mutate spoglie.”
Con la proposta di legge 1360, si va in netta contrapposizione a tale concetto e dato che il tentativo di onorare tutti i caduti non riesce a fare presa si cerca di far leva sui vivi utilizzando anche un mercenario contributo.
La volontà di rimozione collettiva della memoria ingrata (ingrata per chi?) di uno scontro militare e ideale oramai lontano (come scritto nel decreto), appianando così le ragioni e i torti, è l’obiettivo di chi oggi ancora si riconosce nei progetti di un potere autoritario.
La richiesta di dare un riconoscimento analogo al Cavalierato di Vittorio Veneto, attribuito ai combattenti per la patria nella guerra 1914-1918, a chi la Patria l’ha violentata come i Reparti della Repubblica Sociale Italiana, non è degno di un Paese che si ritiene coerente con una cultura di pace e di pacificazione.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento occorre fare, per quanto riguarda i reparti della R.S.I, una netta distinzione tra forze armate propriamente dette e formazioni armate.
In funzione delle finalità si possono classificare in: prettamente militari, di polizia (Milano ne aveva ben 16 tra cui la banda Koch di villa Triste), di partito (Brigate Nere), la Xª divisione M.A.S. considerata una “milizia privata” del comandante Junio Valerio Borghese che ricordiamo essere nel 1970 tra i promotori di un tentativo fallimentare di colpo di stato, il golpe Borghese.
Nel testo del decreto si afferma che il riconoscimento va dato a quanti fecero una scelta di schieramento convinti della “bontà” della loro lotta per la Patria e che nello smarrimento generale ritennero onorevole la scelta a difesa del regime, ferito e languente.
Un regime, appunto.
Nel ventennio vi sono stati centinaia di omicidi politici, migliaia di aggressioni, devastazioni, processi, ed esilio per tutti coloro che si opponevano al regime.
Sono state promulgate le leggi razziste e si collaborò attivamente con i nazisti, si arrivò alla guerra di liberazione.
Il tributo di sangue fu altissimo.
Dei circa 40.000 civili deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne torneranno solo 4.000.
Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 tornarono vivi solo in quindici.
Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) siano stati complessivamente circa 45.000; altri 21.000 rimasero mutilati ed invalidi.
Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento.
Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, deportati dopo l’8 settembre e che rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione.
Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l’8 settembre 1943 e l’aprile 1945 sia la Wehrmacht che le SS e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi, per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni.
Oggi è oggettivamente difficile, credere nel candore, nell’ingenuità di chi nel 1943, dopo venti anni così pregni di violenza, si arruolò nelle formazioni Repubblichine; semmai si può comprenderne la paura di chi, in qualche caso, lo fece solo per evitare la fucilazione o la deportazione.
È ovvio invece il valore simbolico, attribuito dai firmatari a questa proposta di decreto legge, atta a superare quelle ideologie costituzionali che hanno reso finora difficile, se non giustamente impossibile, il riconoscimento sociale dei “meriti” e del sacrificio di ha combattuto per il regime; motivi di equità, quindi.
Onorare valori e viltà, santificare Pietro e Giuda utilizzando trenta denari, ma occorre far presto data l’età avanzata dei soggetti, la lunga attesa e il periodo di ristrettezze economiche, questo è quanto chiedono.
Il tentativo di comprare il silenzio dei partigiani con un obolo di 16 denari mese è una escamotage di basso profilo, perché non ci può essere nessuna cifra che possa ripagare il sacrificio degli amici partigiani uccisi, non ci può essere nessuna cifra che possa ripagare il fatto di essere artefice della fondazione di una democrazia, di 60 anni di convivenza pacifica proprio perché non è stata modificata la storia, proprio perché non si è mischiata la pietas cristiana con la pietas civile.
I firmatari sono 42 deputati tra i quali si legge il nome di De Corato, l’eterno vice sindaco di una città, Milano, che non onora i caduti, sfratta l’Anpi, e che nelle sue istituzioni zonali non elargisce fondi per le ricorrenze del 25 aprile e vuole far togliere i simboli partigiani dalle pareti.
I firmatari sono 42 deputati tra i quali si leggono i nomi di Corsini, Fogliari e Narducci del Partito Democratico; c’è da chiedersi cosa abbiano trovato di così innovativo e illuminante nelle pieghe del decreto nr. 1360.
Dodo
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