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Chi paga le birre di
Cuore nero?
Saverio Ferrari –
Osservatorio democratico
Il 16 marzo scorso, a
due settimane dal voto per l’elezione del consiglio regionale lombardo, il
Corriere della Sera titolava nella pagina milanese: "Casa Pound appoggia Buscemi
(Pdl)". A schierarsi a favore dell’assessore uscente Marco Artioli, il
responsabile regionale di Casa Pound, che dichiarava: «Lo riteniamo l’unico
esponente politico attualmente in grado di sostenere nelle istituzioni la nostra
proposta di legge sul mutuo sociale».
Roberto Jonghi Lavarini, presidente del
comitato Destra per Milano, parlò di «scelta politica intelligente e
lungimirante», riportando in un suo comunicato le assicurazioni dell’assessore
alla piccola e media impresa Romano La Russa che riteneva le proposte «in linea
con i principi da sempre sostenuti».
Massimo Buscemi, ex dirigente d’azienda
e segretario di Forza Italia a Varese, nonché assessore regionale alle Reti e
servizi di pubblica utilità, dal canto suo, dettava alla stampa la seguente
dichiarazione: «Ho incontrato i responsabili di Casa Pound, così come incontro
ogni giorno centinaia di cittadini…Tengo comunque a precisare che io non
faccio promesse a nessuno». A tre mesi dal voto, non sembrerebbe però che le
cose siano andate esattamente così. Proviamo a ricapitolarle.
Casa Pound
Milano, nata da una scheggia di Cuore nero, imploso e sparpagliatosi in più
sigle, si trova oggi senza più una sede, dopo la chiusura dei locali di via
Pareto, appoggiandosi per le proprie iniziative al Centro identitario padano di
Mario Borghezio, in via Bassano del Grappa. Oltretutto, in questo momento non
sembrerebbe godere di particolari capacità attrattive. Alla manifestazione
nazionale dello scorso 7 maggio a Roma promossa dal Blocco studentesco,
filiazione di Casa Pound, non si era riusciti neanche a riempire per intero un
pullman. Poco più di trenta i partecipanti da tutta la Lombardia, pochissimi i
giovani. Un insuccesso politico con strascichi anche di tipo finanziario. Il
pagamento del bus, infatti, è pesato interamente sui militanti over trenta, che
hanno dovuto ripartirsi la spesa, con non poche proteste.
Ad aggravare la
situazione, un processo sanzionatorio da parte del settore edilizio del Comune
di Milano, riguardante l’esecuzione, a suo tempo in via Pareto, di opere svolte
in assenza di permesso, ma soprattutto un debito di oltre 9mila euro,
accumulatosi durante la breve esperienza di Cuore nero, si dice a causa della
mala gestione della famiglia Todisco, in parte affitti, ma in grossa misura
(almeno i due terzi) dovuti a fusti di birra non pagati. Sì, proprio birra!
Niente di cui stupirsi, d’altro canto, il soprannome dell’attuale leader di Casa
Pound a Milano, Francesco Cappuccio, è proprio "Doppio malto". Nomignolo di cui
sembrerebbe orgoglioso e con il quale ama pubblicamente presentarsi.
Bene,
ora tra i camerati, quasi ridotti alla disperazione, qualcuno ha fatto sapere, e
la voce gira sempre più, che sarà proprio il nuovo assessore alla Cultura e alle
politiche giovanili, Massimo Buscemi, a far fronte ai debiti. Il "Signor B.",
come lo si chiama in codice. Si sussurra anche che si è a buon punto nelle
trattative in corso. Sarà dunque la Regione Lombardia a pagare le casse di birra
bevute dai camerati milanesi? Attendiamo circostanziate
smentite.
http://www.osservatoriodemocratico.org/page.asp?ID=3044&Class_ID=1004
Il comitato antifascista di zona 8 lista a lutto il suo blog per la grave ferita inferta alla Costituzione e alla democrazia con il decreto legge sulle intercettazioni
La stampa nemica
di GIORGIO BOCCA – da REPUBBLICA 11 GIUGNO 2010
A DIFFERENZA di altri sultani che nascondono la spada con cui feriscono i nemici, l’estroverso Cavaliere vuole che lo si sappia che è stato lui a usare i suoi soldi e i suoi poteri per sbarazzare il campo dai critici e da quelli di diverso parere. È stata la sua voce isterica e cattiva a lanciare gli anatemi contro giornalisti e opinionisti che osavano contraddirlo.
A chiedere apertis verbis ai dirigenti della Rai di toglierglieli dai piedi, a non sopportare la presenza dei Montanelli, dei Biagi e di chiunque mettesse in discussione il suo sovrano potere sultanesco. Non stupisce quindi che ora voglia addirittura imbavagliare la libertà di stampa tout-court, chiudere la bocca ai giornali e alla verità. Si è detto spesso che Berlusconi, a differenza di altri padroni, è un buono, uno che corre al capezzale dei dipendenti ammalati, che li manda in crociera per le vacanze e gli telefona: "Siete belli, siete abbronzati, al vostro ritorno troverete una gratifica, la prossima volta ci sarò anch’io, ho già pronto lo smoking". Certo, è un imprenditore non un gangster, uno che usa le parole più che la violenza, ma non è uno che perdona chi si mette sulla sua strada, prima o poi cerca di eliminarlo. Non lo nasconde, vuole che tutti sappiano che l’incauto ha avuto la sua giusta punizione.
Un intercalare solito del Cavaliere è il "se lei mi consente", come a dire: io sono straricco, strapotente ma profondamente democratico fin dalla nascita: chiedo il permesso anche di sbadigliare, anche di respirare, sorrido sempre anche quando metto alla porta un mio dipendente, anche quando licenzio un allenatore del Milan. Il cavaliere di Arcore è buono, generoso, magnanimo ma i direttori di giornali che non gli piacciono escono dalla comune, si chiamino Montanelli o Biagi. Ci pensano i maestri di cerimonia a congedarli. I maestri delle cerimonie, uomini di mondo educati a corte, in questi giorni compaiono sui teleschermi o sui giornali per smentire affabilmente i catastrofisti, i profeti di sventure autoritarie che denunciano l’attacco alla libertà di stampa, come di fatto è il "nuovo ordine" sulle intercettazioni telefoniche.
Ma che dite, di che vi lamentate? Vieteremo solo quelle che fanno danno agli innocenti, che ledono la privacy dei cittadini, che servono solo alle diffamazioni ingiuste, alla maldicenza, al pettegolezzo. Davvero? Le cose stanno diversamente. Senza le intercettazioni telefoniche fatte dalla magistratura e pubblicate dai giornali nessuno avrebbe saputo che un ministro era stato aiutato "a sua insaputa" ad acquistare "un mezzanino" da duecento metri quadrati con vista sul Colosseo da un generoso costruttore edile. Berlusconi è fisicamente e mentalmente il contrario dei dittatori del secolo scorso. Paragonarlo nei modi di parlare, di fare, di atteggiarsi ai Mussolini, Hitler, Stalin non reggerebbe neppure alla bassezza dell’avanspettacolo. Anche il suo impero televisivo è stato costruito legalmente, con i privilegi e le prepotenze legali in cui i grandi costruttori sono maestri. Ma chi si è opposto a questo sistema, chi si è messo di traverso con le buone o con le cattive è stato cacciato. Si tratta di quella che noi chiamiamo la democrazia autoritaria o la dittatura della maggioranza o l’assolutismo elettorale per cui chi ha più voti, chi ha il maggior consenso popolare può far tutto ciò che gli comoda, anche violare le leggi della Costituzione.
Ma perché questa democrazia autoritaria non è stata denunciata e contrastata in passato, quando i grandi partiti storici, il democristiano e il comunista, si spartivano i poteri uno della politica l’altro del mercato del lavoro? Credo perché quei partiti erano nati dalla guerra di liberazione, erano fondati sui valori della Resistenza, davano garanzie di non arrivare mai alla limitazione se non alla soppressione dei diritti democratici. I dubbi, i timori sul cavaliere di Arcore, su cui i suoi portavoce teatralmente ironizzano, sono autorizzati dal suo sistema di continuo attacco ai baluardi della democrazia, ora alla libertà di stampa come prima alla magistratura e all’opposizione in genere, genericamente definita come comunista, di un comunismo morto e sepolto ma sempre intento a ostacolarlo e danneggiarlo.
Forse, anzi certamente Berlusconi non se ne rende conto, forse come tutti gli "uomini fatali" è convinto di aver sempre ragione, che tutti congiurino ai suoi danni, ma da quando è entrato in politica, da quando ha detto al suo amico Dell’Utri "fare un partito? Lo fanno tutti, lo facciamo anche noi" non ha fatto altro che attaccare, deridere, osteggiare la democrazia, il "teatrino della politica" come la chiama lui. La magistratura, con l’ipocrita distinzione fra quella buona che lo lascia in pace e quella "politicizzata" che lo perseguita, la stampa che concepisce solo, a quanto pare, come mezzo di intimidazione degli avversari. L’ultimo dei suoi allenatori del Milan è stato licenziato come Santoro: "Consensualmente". Ha detto che c’era "incompatibilità di carattere". Chiamiamola così: fra Berlusconi e la democrazia parlamentare nata dalla guerra di liberazione c’è incompatibilità di carattere.