Riportiamo dal quotidiano online Huffington post
E’ legittimo definire ‘picchiatore fascista’ chi ha avuto una militanza nell’estrema destra e ha preso parte a manifestazioni di piazza “non solo per manifestare il proprio pensiero e le proprie idee” ma anche per “manifestare la propria forza fisica”. Lo ha sottolineato la Cassazione in una sentenza della Quinta sezione penale che ha annullato, “perché il fatto non costituisce reato”, una doppia condanna per diffamazione (400 euro di multa) nei confronti di P. G., per avere offeso la reputazione del giornalista S. M., definendolo ‘ex picchiatore fascista’.
Secondo la Suprema Corte, al di là della “connotazione negativa” che sta dietro l’espressione, “appare del tutto ingiustificata la richiesta di intervento punitivo dello Stato in danno di chi, indipendentemente dall’esito dello scontro, lo ha collocato, nel passato, all’interno di uno schieramento che questo tipo di dialettica della violenza, avente precise radici storiche, non ha mai rinnegato”.
L’espressione ‘picchiatore fascista’, come ricostruisce la sentenza 745, era stata estrapolata da una recensione al libro ‘Regime’ di Marco Travaglio e da una intervista che S.M., simpatizzante dell’organizzazione giovanile del Msi ‘Fronte della Gioventù,aveva rilasciato al ‘Venerdì di Repubblica, laddove aveva riferito di essere sceso in piazza negli anni Settanta e di ‘avere fatto a botte’ con persone di opposta parte politica.
S.M. precisava inoltre che “se proprio doveva fare a botte, le prendeva” e che del resto “non aveva il fisico del picchiatore, né aveva mai picchiato nessuno, né si era sentito ‘fascista’”.
L’espressione era stata censurata sia dal Tribunale di Roma (febbraio 2008) che dalla Corte d’appello della capitale (luglio 2011) sulla base del fatto che era stato superato “il requisito della continenza”.
Giudizio ribaltato ora dalla Cassazione che ha accolto il ricorso di P.G. volto a dimostrare che l’espressione era stata inserita “in un preciso periodo del passato nel quale il prefisso ‘ex’ ha avuto l’intenzione di collocarlo” perdendo così la carica di “disvalore sociale”. Piazza Cavour ha accolto la tesi difensiva e ha annullato “perchè il fatto non costituisce reato” la condanna per diffamazione.
In particolare, la Suprema Corte ha rilevato che “i dati storici” riferibili alla militanza di S.M. “conducono necessariamente alla rimozione dell’antigiuridicità della sintetica definizione compiuta” da P.G.. Del resto, annota la Cassazione, lo stesso S.M. “ha riconosciuto di essere andato in piazza da intendere come terreno di confronto tra contrapposte esternazioni, oltre che di idee, di forza fisica, in un comune contesto di primordiale e inattuale modo di intendere la politica”.
Inoltre, “la non smentita circostanza, narrata da S.M., secondo cui egli ha avuto il ruolo di soccombente, non incide – scrivono gli ‘ermellini’ – sulla efficacia della ammissione di avere svolto una specifica militanza poltica e sulla perfetta aderenza alla verità dell’attribuita qualifica di ‘picchiatore’, nel cui significato non è pacificamente compreso il ruolo di vincitore negli episodi di violenza reciproca”.
Infine, la Cassazione ricorda che “la continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati”